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Gatto&Samurai - Davide D'Ascenzo

I nostri corpi
cambiano il mondo

Il cosiddetto “decreto anti rave” ha aperto uno squarcio nel percorso di repressione dello spontaneismo in strada. Non che prima andasse tutto bene, anzi. Da anni i governi di tutti gli schieramenti sono uniti nel tentativo di ridurre la presenza dei corpi nelle piazze, nelle strade e nelle feste a una mera questione di ordine pubblico. Ma il “decreto anti rave”, sia esso più o meno realmente efficace nella realtà, ha segnato un solco. Vuoi perché pensato da un governo profondamente reazionario, vuoi perché arriva al termine di un biennio, quello della pandemia, importante per la legiferazione sulle libertà personali. Per certi versi anni un po’ folli, se li guardiamo col senno di poi. Mesi in cui, giusto per fare un esempio, era legge il divieto di uscire di casa per una passeggiata solitaria notturna.

Passata la fase più acuta della pandemia, è rimasta l’eredità di un’imponente mole di dispositivi securitari e burocratici, in certi casi addirittura non scritti ma introiettati spontaneamente dalla popolazione. Un’incredibile quantità di strumenti a servizio dell’ideologia del controllo e della normalizzazione della società, che già prima del 2020 avanzava inesorabile nella maggior parte delle società occidentali. D’altronde è così che si impongono le cappe contro il fumo e spariscono le sagre, che vengono perimetrati gli spazi per gli spettacoli dal vivo nelle città, che vengono creati i registri per i musicisti in strada, o sono repressi con piglio poliziesco i raduni spontanei.

La pandemia ha dimostrato che impedire a un corpo di muoversi per comunicare con un altro corpo può essere funzionale all’imposizione della cultura dominante, e di riflesso all’indebolimento di chi subisce questo dominio e lotta per sovvertirlo immaginando mondi nuovi. Ma ha anche rivelato che, se vogliono, i corpi che attraversano le strade sono inarrestabili. Lo dimostrano ogni giorno le tante persone che a CaseMatte (ma anche altrove) si organizzano per andare su uno skate, discutere insieme, suonare musica. Costruire insomma culture alternative a quelle dominanti. Così come lo dimostra nei paesi chi accende i fuochi a Sant’Antonio, o le migliaia di persone che solcano le vie di un centro cittadino per un aperitivo pre-natalizio. E che poi, in un’esplosione post-pandemica, si ritrovano per ore a ballare sotto cassa, ridere, brindare, costruire e intrecciare corpi e menti. Com’è successo in una piazza del centro lo scorso 24 dicembre.

Corpi incuranti di decreti e di burocrazie che mirano solo a soffocare lo spontaneismo, perché foriero di controculture alternative a quella oggi egemone. Menti che nonostante tutto percorrono strade insieme. E, anche quando non sembra, in prospettiva gemmano e crescono, immuni a una normalizzazione che non ci avrà mai.