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Gatto&Samurai - Davide D'Ascenzo

“Vitalpolitik”
pour les Hommes Économiques

Questa è la storia di una giovane cittadina europea che alle soglie del 2023, volse lo sguardo indietro nel tempo, alla ricerca di una possibile verità sulle cause che determinano la sua attuale condizione esistenziale, precaria ed estremamente fragile, in un Paese dove sembra non contare più nulla, dalle lotte operaie, alle rivendicazioni sindacali e più in generale alle istanze dei corpi intermedi. Nel volgere lo sguardo al passato, questa giovane europea si rese conto che diverse furono le cause che oggi ne segnano la sua esistenza, ma una su tutte la incuriosì più delle altre, una determinante che accomuna le sue coetanee di Berlino, Praga, Parigi, Madrid, Atene e Lisbona. La ragazza scoprì di vivere all’interno di un’economia sociale di mercato i cui principi si rifacevano ai dettami dell’ordoliberalismo. La visione degli ordoliberali divenne egemone in Europa a partire dal suo successo nella Repubblica Federale Tedesca e poi nella successiva costruzione dell’Unione Europea, dal Trattato di Maastricht del 1992 al Trattato di Lisbona del 2007, il cui articolo 3 delinea l’obiettivo dell’UE come “un’economia sociale di mercato altamente competitiva”. D’altronde come testimonia la lezione tenuta da Jens Weidmann nel 2013 a Friburgo, il presidente della Bundesbank ribadì l’attualità dei principi ordoliberali, sottolineando che essi occupano una posizione centrale nel Trattato di Maastricht e orientano la politica monetaria della Banca Centrale Europea. L’ordoliberalismo ha occupato una posizione peculiare in relazione alla storia del pensiero politico del Novecento, esso nacque in Europa nello stesso contesto in cui a partire dagli anni venti si sviluppò e prese successivamente forma il neoliberalismo novecentesco. Si trattava di un contesto segnato dalla circolazione delle élite intellettuali europee e anglo-americane entro la quale si realizzò la possibilità di sviluppare un insieme di esperienze e paradigmi teorici di riferimento comuni: la fine della globalizzazione ottocentesca, la fine degli imperi coloniali e la moltiplicazione degli stati nazionali, la critica alla pianificazione socialista e dei regimi di massa, la crisi economica mondiale del 1929 e l’esigenza di ricostruire il mercato mondiale attraverso nuove forme di integrazione economica e politica di livello internazionale. L’ordoliberalismo costituisce a tutti gli effetti una specifica declinazione tedesca di quel neoliberalismo che prese forma nella prima metà del secolo tra Vienna e Parigi, Londra e Ginevra e che si sarebbe successivamente sviluppato con un maggiore contributo proveniente dagli Stati Uniti. Incrocia la grande filosofia politica tedesca del Novecento relativamente ad alcuni dei suoi principali nuclei tematici: la democratizzazione di massa, la crisi della sovranità e dello Stato nazione, la fine dello ius publicum europaeum, la questione della tecnica, la secolarizzazione, lo stesso rapporto economia-politica. Gli ordoliberali svilupparono il loro pensiero a partire da due principali nuclei tematici: Primo il rapporto tra capitalismo e Stato e in particolare il fallimento dello Stato nel tutelare una cornice istituzionale coerente con le logiche di mercato e con la libera concorrenza;

Secondo la società di massa e la crisi dei valori borghesi come minaccia a un pacifico ordine sociale e a un ordinato sviluppo capitalistico; La strategia politica elaborata dagli ordoliberali consisteva in una specifica ridefinizione della fisionomia dello Stato e del suo ruolo in rapporto alla società e all’economia. Il futuro del capitalismo e dell’ordine borghese potevano essere assicurati solo grazie a nuove forme di tutela del mercato e della libera iniziativa degli imprenditori. Una soluzione liberale alla crisi europea del novecento e in particolare della Germania, risultava possibile solo in chiave conservatrice, mediante forti limitazioni della sovranità popolare e l’abbandono o il superamento autoritario del controllo parlamentare sull’attività di governo. All’altezza di questo snodo storico le istituzioni della democrazia parlamentare, occupate dai partiti politici, rappresentavano una minaccia mortale e non una garanzia per il futuro del capitalismo e dei valori liberali nella società tedesca. Nell’ottica ordoliberale la tutela dell’ordine borghese e dei fondamenti del capitalismo doveva rappresentare l’obiettivo principale dell’azione statale. La strategia politica ordoliberale era tutta incentrata su questo punto e il suo successo si giocava sulla capacità dello ‘Stato forte’ di sottrarsi al pluralismo, di neutralizzare il conflitto (economico e politico) e tutelare il mercato. La ribellione delle masse (per definizione violente, ignoranti e irrazionali) si rivolgeva in ultima istanza contro la ragione, la pace e la libertà: le masse attaccavano le condizioni di base per l’esistenza di una società ben ordinata e per l’economia di mercato. Gli attori principali della democratizzazione (partiti politici, sindacati e movimento operaio) rappresentavano in questo modo i principali responsabili della crisi capitalistica. La politicizzazione della società da un lato e l’interventismo economico dello Stato dall’altro, rappresentavano l’esito della crisi del modello liberal-capitalistico. Occorreva superare l’estrema debolezza dello Stato e dovevano essere neutralizzati i conflitti sorti al suo interno, pertanto veniva delineata una strategia politica che vedeva nello ‘Stato forte’ la condizione di possibilità per modernizzare l’economia in chiave liberale, sottraendola tanto ai conflitti collegati alla lotta di classe, quanto agli interessi corporativi e protezionistici di svariati settori economici. Allo «Stato come preda», vittima del cattivo pluralismo, si contrapponeva il paradigma dello ‘Stato forte’; al particolarismo degli interessi occorreva contrapporre il carattere universale dello Stato. Se lo ‘Stato debole’ era lo Stato che interveniva in maniera puntuale nell’economia nazionale attraverso sovvenzioni e l’amministrazione politica di prezzi e salari, lo ‘Stato forte’ doveva sottrarsi dal peso degli interessi corporativi e dei partiti politici per condurre una politica indipendente in vista del bene comune. Lo ‘Stato forte’ avrebbe avuto la funzione di tutelare non solo il mercato ma anche di integrare pienamente i cittadini entro un ordine sociale giusto. Se al mercato era affidato il compito di generare il legame sociale, proprio di una società ordinata, lo ‘Stato forte’ rappresentava la condizione di possibilità di questo processo. Lo Stato doveva essere sottratto al controllo politico dei partiti tramite il parlamento, all’interno del quale si rispecchiava infatti la conflittualità presente nella società, e questo doveva essere impedito mediante la neutralizzazione dei conflitti che attraversavano uno Stato debole, che risultava ormai indistinguibile dalla società e ne aveva assunto il disordine interno. Le possibilità di edificare un nuovo liberalismo risiedevano nell’azione governativa di uno Stato capace di porsi a salvaguardia di un mercato concorrenziale nel quale i singoli potessero perseguire liberamente i loro interessi mossi dal desiderio personale del possesso. Restava però il compito di disciplinare il potere informe delle masse e di superare lo sfasamento culturale e la disintegrazione sociale causati dal dinamismo accelerato dallo sviluppo tecnologico e dal conseguente brutale sconvolgimento di ogni abitudine e di ogni consuetudine. Per superare la disintegrazione e per favorire un riadattamento della natura umana e di tutto il complesso delle abitudini umane, lo Stato avrebbe avuto l’onere di intervenire con una nuova politica sociale che gli ordoliberali chiamavano Vitalpolitik, e per la quale lo Stato avrebbe dovuto educare le masse, adattando il lento ordine sociale alla logica concorrenziale di un modo di produzione rapido e rivoluzionario come quello capitalista. I nuovi governi liberali avrebbero dovuto garantire soltanto la piena affermazione dell’ordine del mercato e del principio di concorrenza, ma sarebbe dovuto intervenire anche sul terreno antropologico, facendo degli individui gli imprenditori di loro stessi, tanti homines oeconomici guidati dall’ethos dell’auto-valorizzazione. La Vitalpolitik quindi avrebbe avuto il compito di trasformare i lavoratori recalcitranti in imprenditori responsabili del loro lavoro, gli individui avrebbero dovuto sviluppare capacità imprenditoriali, con l’obiettivo finale di farli arrivare a percepire sé stessi come homines oeconomici. I lavoratori andavano trasformati in individui innovativi, competitivi, propensi al rischio, eternamente mobili, auto-sufficienti e auto-responsabili che avrebbero percepito la povertà come un incentivo a fare meglio e la disoccupazione come un’opportunità per migliorare. Questa trasformazione avrebbe permesso ai lavoratori di emanciparsi dalla loro condizione di dipendenza economica, realizzando così la loro piena libertà e responsabilità. Il pensiero ordoliberale ha attraversato l’intero novecento ed è protagonista in Europa anche nel nuovo millennio, sta raggiungendo pienamente i suoi obiettivi, si è affinato si è evoluto e i suoi principi fondanti sono ancora lì a sorreggere come monoliti l’architettura della costituzione “economica “europea, a presidio della quale vigilano attentamente la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale (la cd Troika).